Angelo

Il sogno di fronte a me non apparteneva a nessuna di queste categorie e neppure a questo mondo. Era inclassificabile. Una donna remota e limpida come acqua di montagna, elusiva come l’acqua di fonte è incolore.
La fissai. Mi sorprese intento a guardarla. Spostò di un paio di centimetri la direzione del suo sguardo e io non mi ritrovai più lì, per lei. Ma, dovunque mi trovassi, stavo trattenendo il respiro.

ANGIE

Buio,
Dolore.
Un dolore persistente all’altezza dell’addome, che sia questa la morte? Mi sfioro la pancia con prudenza e terrore, cerco di localizzare la fonte di questo pulsare, è come un cuore che batte nel mio ventre bruciando e mordendo. Ho la pancia appiccicosa, la camicia bianca è nera di sangue all’altezza della ferita. E’ una brutta ferita, il proiettile di una 38 è entrato nel ventre e deve avere deciso che gli piaceva la mia pancia, deve essere dentro, conficcato da qualche parte.
Arriveranno i rinforzi, mi troveranno morto con la schiena appoggiata a una catasta di pianali di legno, in questo magazzino lercio e abbandonato.
Del resto lo sapevo che potevo finire in questo modo.
Uno sbirro lo sa sempre quando esce di casa, specialmente se non si attrezza a procurarsi una qualsiasi copertura e io non avevo tempo di chiedere aiuto e neanche modo.
Un crampo, come una mano improvvisamente materializzata nel mio stomaco, il respiro mi lascia per un attimo e il cuore sembra perdere un colpo, tocco il telefono cellulare nella tasca dei jeans stretti, il mio Nokia nuovo di zecca che non potrò mai imparare ad usare.
Il mio regalo di compleanno.
Non mi diventare patetico Michael Gordon, non ti è mai fregato niente del compleanno, degli anniversari e degli onomastici, mi serviva un telefono nuovo e potevo permettermelo.
Ricordo ancora la sera nella quale ho incontrato il mio angelo custode, era la festa annuale della Polizia e per la prima volta avevo deciso di farci un salto, dovevo parlare con il mio partner per una indagine in corso.
Lui è diverso da me, ha una famiglia, una moglie premurosa, due figli che stanno studiando, una casetta ordinata e il barbecue in fondo al giardino dove la domenica cucina bistecche e salsiccia.
Un’ ondata di nausea dolciastra e lenta mi sale in gola, è sangue, il mio sangue che sta traboccando dentro di me cercando una via d’uscita.
Quanti minuti saranno trascorsi? Cinque? Dieci? Guardo il mio orologio graffiato e impolverato e faccio fatica a mettere a fuoco nella penombra del grande spazio vuoto. Un topo si ferma un istante ad annusare l’aria e mi guarda con i suoi occhietti insulsi e i baffi frementi, sente l’odore del mio sangue il bastardo, ma non si avvicinerà fino a quando continuerò a respirare.
Allungo un braccio e afferro con grande fatica un’asta di metallo, questo semplice movimento mi costa una fatica mostruosa e mi provoca nuove fitte allo stomaco, nuova nausea e mi offusca la vista. Il battito cardiaco aumenta, la mia carcassa scalcinata è alla fine.
Che cosa è servito andare a correre tutti i santi giorni buttando fiato e sudore intorno al laghetto del parco sotto casa?
Perché ho trascorso ore in palestra allenandomi nel corpo a corpo, o al poligono sparando contro sagome in movimento stropicciandomi muscoli e ossa nelle simulazioni di sparatorie e colluttazioni?
Se avessi saputo che la pallottola con scritto il mio nome era infilata in una pistola imprevedibile, e si sarebbe conficcata nel mio ventre per donarmi la più dolorosa delle morti, non mi sarei dannato l’anima in tutta quella fatica.
Cerco le sigarette nella tasca della camicia e trovo il pacchetto di Camel ammaccato ma intero.
Tutti a ripetermi che questa merda cancerosa mi avrebbe accorciato la vita.
E io che stavo anche cercando di smettere.
Trovo l’accendino nel pacchetto, il mio vecchio zip di metallo e benzina e lo annuso ancora una volta prima di accendere una sigaretta.
Il primo tiro è come un calcio nei polmoni, un colpo di tosse irrefrenabile mi percuote tutto, anche il ratto affamato si dilegua spaventato, nascondendosi fra alcuni scatoloni marci.
Sputo sangue, sangue fresco e mi rivedo alla festa mentre mi faccio largo fra divise stirate e scintillanti, bambini grassi e lentigginosi accompagnato da buona vecchia musica irlandese.
Si beve forte alle feste dei poliziotti irlandesi e s’incontrano belle figlie d’Irlanda, figlie di sbirri immigrati ormai perfettamente integrati.
Vedo Ed Rooney che sta versando da bere a un angelo con capelli rosso fuoco e lentiggini spruzzate ad arte sul viso. Stanno ridendo di qualcosa e per un solo istante penso che lui sta sogghignando troppo per una semplice conoscenza occasionale, me lo figuro nell’atto di immergersi in quei capelli rossi e pelle bianchissima in un tripudio di carne giovanissima e fremente e scuoto la testa sorridendo.
Sono proprio stronzo, mi giro e vedo seduta in un lato della sala sua moglie, bella, altera, bionda ed eterea, intravedo anche uno dei suoi pargoli mentre addenta un hamburger e faccio un piccolo cenno con la mano verso il mio amico, almeno per farmi notare.
Lui non sembra entusiasta di vedermi ma è solo una posa.
“Accidenti Gordon, arrivi sempre al momento sbagliato, stavo quasi per estorcere alla signorina il numero di cellulare”.
“Non mi prendere in giro, sei sotto doppio controllo segreto, vedo tua moglie dall’altra parte della sala e uno dei tuoi mostriciattoli che si sta sfamando qui vicino, sei troppo vecchio per questa meraviglia della natura”.
Ed scoppia a ridere e l’angelo dai capelli rossi avvampa in viso per il complimento ma riesce a sorridere.
“ Bene … non avevo in programma di presentarla a uno spiantato come te, ma visto che sei arrivato in picchiata come un falco … lei si chiama Angie Connor, è mia nipote, appena catapultata dalla lontana Irlanda, è qui per completare i suoi studi universitari, quindi non farti strane idee …”
poi ha guardato Angie, le ha sorriso come un padre premuroso “il ceffo qui presente si chiama Gordon … Michael Gordon, è un bravo sbirro, piace alle donne, ma sono donne che non vorrei mai farti conoscere ed è un po’ troppo animale per te”.
“Perché non lasci decidere a Angie chi vuole frequentare? Posso almeno avere l’onore del primo ballo?”.
In quel momento è partita una giga irlandese, i violini hanno cominciato a contaminare l’aria surriscaldata della festa e sono tutti scesi in pista scatenati.
Non ho mai amato le feste danzanti ma quella sera avevo occhi solo per lei. Facendo uno sforzo ho cercato nella memoria di bambino i passi della giga, quando poco più grande di in boccale di birra mi infilavo fra le gambe dei grandi per imitarli annusando quegli odori forti di sesso e sudore.
Angie si muoveva come volando, mi sembrava di vederla danzare al rallentatore fra una folla di uomini ubriachi e desideranti. In quei pochi battiti fra violini scatenati, gonne svolazzanti di giovani donne, pance gonfie di maturi poliziotti irlandoamericani ho sentito una scossa, un sussulto, che credevo non avrei mai più provato in tutta la mia vita.
Un rumore lontano di tuoni si accompagna a un refolo di vento polveroso che entra da uno squarcio nel tetto crepato del magazzino. Presto pioverà, ma che me ne fotte, sarò un fantoccio bagnato al massimo. Comincio a sentire un freddo intenso che si sta facendo strada nelle mie viscere martoriate, è come avere il nulla che avanza dentro, mi viene in mente la Storia Infinita quel bel film dove il nulla con il suo buio giunge fino ai confini del mondo per cancellarlo.
Cazzo in quel film non ce la fa, arrivano i buoni e tutto finisce bene.
Ma è solo una favola, la mia invece è una brutta storia, la sigaretta mi brucia i polpastrelli ma non sento più dolore.
Quella notte Angie mi ha concesso di accompagnarla all’ostello dove alloggiava. Abbiamo parlato, lei in fretta io lentamente, delle nostre vite, dei suoi ventidue anni furiosi dei miei quaranta cinici e disillusi. Alla incerta luce di un lampione lei mi ha baciato piano le labbra screpolate e mentre cercavo di non farle sentire il mio alito amaro di sigarette e birra scozzese lei mi ha infilato in bocca la sua splendida lingua irlandese lunga e probabilmente biforcuta e io ci sono cascato come un pollo, come un imbecille, come un uomo solo.
Quella notte abbiamo fatto l’amore in una pensione che conoscevo bene, dove non fanno domande. Ho conosciuto molte femmine nella mia breve vita ma Angie è davvero qualcosa di diverso e non è solo la qualità della giovinezza, quella fragranza tipica di un corpo tonico, il profumo inarrivabile della pelle, la leggerezza dei capelli, e la consistenza delle sue labbra.
Lei ha una luce negli occhi verdi che brilla al buio e in quella camera umida di corpi ho avuto la certezza che esiste un mondo reale, palpabile dove anche uno sbirro rugginoso come me avrebbe potuto trovare la felicità.
Il pensiero mi strappa una risata che si trasforma in un gorgoglio affannoso. Come ho potuto farmi prendere così clamorosamente per il culo da una ventenne? Il mio maledetto pene, e il mio corpo che si fa ancora sedurre. Accendo una seconda sigaretta e so già che sarà l’ultima, alzo la fiamma per illuminare la scena.
Intravedo i cadaveri e mi scappa da ridere. Domani i giornali sguazzeranno nel brodo di sangue.
A ore 12 riesco a scorgere il corpo di Ed. Quel coglione, che mi aveva venduto Angie per sua nipote, deve avere pensato in un angolo del suo cervello di cinquantenne alla deriva che forse c’era ancora una possibilità di fuga dalla routine. E qui qualcosa mi sfugge. Aveva una bella moglie molto paziente, due figli che forse lo amavano o forse no, aveva il rispetto del suo partner. Mi ha preso in giro spacciando Angie per nipote e pensava anche di fregarmi.
Il giorno dopo la festa irlandese aveva una faccia strana, imbronciata, mi aveva visto uscire con la nipotina il coglione ed era geloso.
Dopo alcune ricerche in rete e con l’aiuto di un amico, un giornalista inglese che vive in Irlanda ho scoperto che Ed non aveva una nipote di nome Angie e che lei durante i suoi 22 anni che erano in realtà 25 aveva combinato diversi pasticci in patria.
Perché allora, mi chiederete, mi sono lasciato fottere come una qualsiasi prostituta di strada?
Perché ho creduto che lei con me avesse trovato qualcosa di davvero unico, che un’unica notte in una lurida stanza di motel le avesse aperto gli occhi e che non mi stesse semplicemente usando.
Angie è sparita, due mesi di silenzio. Ed, il mio partner, ha chiesto il trasferimento a un’altra unità e mi sono ritrovato solo come al solito in una bettola di periferia a chiacchierare con una spogliarellista dalle tette cadenti.
Quando il cellulare ha cominciato a suonare ho pensato che non poteva essere il mio.
“Ciao Michael come stai?”.
“Dove sei finita? Ti ho cercato ovunque”.
“Non dovevi fare tante domande su di me. Dovevi fidarti”.
“Hai ragione angelo, ti chiedo perdono”.
Lei ha riso, quella risata giovane, allegra, vitale, puro argento nelle mie orecchie, la spogliarellista si è dissolta davanti ai miei occhi come una mummia spazzata via dal vento.
“Ho bisogno di vederti”.
“Anch’io” sono riuscito a rispondere con voce roca.
E ci siamo rivisti per un mese. Lei dettava i tempi, sceglieva i luoghi e non mi chiedeva nulla solo di amarla. E io non le chiedevo nulla per timore che scomparisse di nuovo.
Un giorno, dopo l’amore nella solita stanza d’albergo mi ha parlato di Ed e dei suoi guai con una banda di messicani, una storia di cocaina, molta cocaina.
Ha pianto e tremato fra le mie braccia, mi ha detto che Ed Rooney le sembrava impazzito, promettendole la ricchezza e una nuova vita in Australia.
L’ho ascoltata e ho pensato che poteva essere vero perché anch’io per lei avrei fatto qualsiasi cosa.
Mi ha parlato di un ultimo incontro con questi messicani, dello scambio di cocaina sequestrata dalla polizia con un milione di dollari riciclati e mi ha chiesto di aiutare il vecchio Ed, in cambio lei sarebbe riuscita a mollare lui e i suoi demenziali progetti di fuga.
Nella settimana successiva mi sono dato da fare.
Ho fatto un sopraluogo nel capannone previsto per l’appuntamento e ho seguito a distanza il mio angelo per proteggerla e controllarla.
Lei ha incontrato Ed e mi ha evitato con cura per non insospettirlo. Una notte, dopo ore di appostamento lungo la statale, ho visto uscire Angie da uno squallido motel dove si era incontrata con il vecchio Ed.
Una fitta di gelosia mi ha fatto correre forte il sangue nelle vene e mi sono chiesto come era possibile che lei lo volesse mollare per me se ci andava a scopare in un posto lurido sulla statale.
Poi ho pensato che una giovane irlandese con la testa pazza potesse scopare con chiunque ma amare solo uno, uno tosto e ruvido come me.
Pensavo male.
L’ho seguita da lontano a bordo di una vecchia Mustang sequestrata, a tre colori, che uso talvolta per gli appostamenti.
Angie si muoveva sulla statale a una velocità perfetta e mi sono quasi assopito mentre la seguivo verso la città.
Finalmente ha deciso di fermarsi in un bar illuminato, uno di quelli che rimane aperto tutta notte e seduto dietro a un tavolo metallico l’aspettava un tanghero molto più giovane di me e Ed, un bel tomo, capelli biondo Irlanda e mento volitivo.
Si sono baciati veloci sopra un tavolo ricoperto di ciambelle e caffè caldo e hanno cominciato a parlare veloci.
Io dall’auto li fotografavo come un vecchio guardone o uno di quegli investigatori da quattro soldi che seguono coppiette d’amanti e poi incassano la paga da mariti pazzi di gelosia.
Mi sono reso conto che il marito mancato ero io e i cornuti ancora io e il povero Ed.
Cosa stavi architettando Angie con il biondo irlandese? Perché è sicuro che quello stronzo doveva essere un fottuto irlandese.
Avrei dovuto chiamare Ed e avvertirlo, ma cosa avrei potuto raccontargli? Che la piccola Angie ci stava fottendo alla grande, che era meglio non toccarla la cocaina sequestrata se non voleva finire in galera tutta la vita o morto ammazzato.
Adesso Ed sei a pochi metri da me, accartocciato, e se non altro te ne andrai in compagnia.
Il giorno prima Angie mi ha telefonato.
“E’ per domani …” silenzio “ho tanta paura …” la sua voce tremava e sembrava sincera.
Ho pensato che grande attrice fosse e a seguire che avrei voluto essere vicino a lei per poterla mordere sul collo, quel collo lungo, bianco e tenero.
“Non devi temere nulla ci sarò anch’io e cercherò di salvare la situazione”.
“Ti amo Michael e non te ne pentirai”.
La sua voce calda ha continuato ad accompagnarmi la sera e la notte successiva nella quale non sono riuscito a prendere sonno.
E se fosse vero? Se lei mi amasse e avesse solo bisogno di uscire da una situazione merdosa?
E quell’irlandese magari è suo fratello, suo cugino, o magari suo nonno … maledizione.
Questa sera sono arrivato con la vecchia Mustang Blu con il tetto bianco e una striscia rossa su entrambi i fianchi, mi sembrava di essere Starsky senza Hutch e sicuramente Hutch mi avrebbe salvato la pelle in questo frangente.
Ho imboscato l’auto a una cinquantina di metri dal capannone e ho caricato il mio Benelli M3 Super 90 sette colpi calibro 12 più uno in canna, ho infilato due pistole a tamburo in due fondine sotto le ascelle e mi sono avviato lento verso il capannone senza nessun piano in testa se non quello di portare a casa la pelle.
Dentro erano già in corso trattative.
Ed stava mostrando il contenuto di una valigetta a due ceffi di messicani brutti, piccoli e pericolosi.
Altri due stavano a lato, armati di piccoli giocattoli che a distanza sembravano mitragliette Uzi tanto amate dai messicani.
Uno era di guardia all’ingresso.
Ho appoggiato il Benelli e con leggerezza sono scivolato alle spalle del messicano così fatto e sicuro che non mi ha sentito arrivare.
Gli ho passato intorno al collo un filo d’acciaio e me lo sono trascinato dietro con un solo colpo secco e preciso.
Gli ho quasi tagliato la testa a quello stronzo, non è riuscito neanche a digrignare i denti.
Poi sono entrato.
Non c’era strategia possibile da studiare, ne tempo per chiamare i rinforzi che non avrebbero certo fatto molti complimenti a quel coglione di Ed con una valigetta di cocaina rubata al distretto.
Ho puntato il Benelli verso il gruppetto e ho raccomandato l’anima a Dio.
“Alzate le mani con calma e allontanatevi dalla valigetta, messicani di merda” la voce mi è uscita bella roca, senza indecisioni, senza timori. Mentre dentro morivo di paura le mani sapevano dove stare e il dito sul grilletto era pronto.
Il primo messicano si è girato veloce e non ha fatto in tempo a sparare.
Il primo pallettone lo ha investito in pieno stomaco e lo ha fatto volare all’indietro, il sangue deve avere investito gli altri che hanno deciso di non imitarlo.
“Ho altri sette colpi nel Benelli e voi siete solo in tre, quindi ripeto la mia richiesta, allontanatevi dal mio partner”.
“Che cosa cazzo credi di fare Michael?”.
“Cosa cazzo credi di fare tu Ed? Ti sei bruciato il cervello? Vuoi vendere la coca del distretto a questi quattro stronzi e poi pensi che loro ti pagheranno magari? Ma ti rendi conto che ti ammazzeranno subito dopo lo scambio?”.
“Ho calcolato tutto, sono venuti con il denaro, mi hanno già versato un anticipo, non avevano motivo di ammazzarmi, fino al tuo arrivo … tu hai rovinato tutto”.
“Tu sei un pazzo fottuto e non ti rendi conto che ti sto salvando la vita e la tua miserabile carriera, coglione e voi senores potete prendere i vostri stracci e tornare da dove siete venuti, insieme ai vostri soldi, nessuno vi arresterà e noi ci dimenticheremo di voi. D’accordo?”.
I tre messicani si sono guardati e hanno cominciato a ridere, senza decidersi ad alzare le mani.
La scena era talmente surreale che ho cominciato a ridere anch’io e infine anche Ed che sembrava il più incazzato si è messo a sghignazzare.
Quello che sembrava il capo del terzetto si è asciugato le lacrime con il polsino di un camicia hawaiana e mi ha guardato con occhi gentili.
“Noi siamo venuti per concludere un affare e non possiamo mollarlo solo perché ce lo chiedi, non trovi?”.
“Per favore amigo, ve ne andate e nessun’altro si farà male, troverete un altro pollo, altra cocaina e il mio amico potrà tornare a casa dalla sua famiglia … per favore … vi prego”.
Il capo ha sorriso e ha guardato i suoi complici.
“Che dite ragazzi, ce lo sta chiedendo per favore …”.
“Se ce lo chiede per favore … non possiamo rifiutare”.
Il terzo mi ha sorriso e mi ha mandato un bacio a labbra strette mostrando una bocca di denti gialli “ per favore … “ ha cantilenato con voce femminile.
Hanno aperto il fuoco tutti e tre insieme e me lo aspettavo, mi sono gettato di lato dietro una colonna e ho centrato il capo in piena pancia, gli altri due continuando a sparare con le loro mitragliette hanno riempito l’aria di polvere da sparo.
Ed ha estratto la pistola che teneva ancorata a una caviglia e si è finalmente deciso a schierarsi con me. Dopo qualche minuto era tutto finito, il Benelli non perdona e mi sono aggirato fra i cadaveri con il fucile scarico e il morale a terra.
Ed mi guardava con le mani compresse sulla pancia e un pallore definitivo sulla faccia smunta.
“Che cosa hai combinato Ed?”.
Ed mi ha guardato, negli occhi ho visto il terrore della vergogna, nelle mani il sangue delle sue viscere.
“ Di a mia moglie che amavo solo lei e i ragazzi, di a tutti che era una missione e che l’abbiamo portata a termine alla grande”.
Mi sono chinato su di lui e ho cercato di recitare la mia ultima commedia “Ci penserai tu a dire tutto, adesso chiamo un’ambulanza e i rinforzi, vedrai che te la cavi …”.
E’ morto prima che finissi la frase, grande coglione.
Mi sono alzato le gambe dure di adrenalina, lo stomaco aggrovigliato e nel naso odore di polvere da sparo, carne bruciata, sangue caldo appena disperso sul pavimento lurido.
Mi sono voltato e c’era lei, il suo sorriso a cinquanta centimetri dalla mia bocca aperta, la sua mano stretta intorno a una calibro 38 con naturalezza, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
“Niente di personale …” ha sussurrato e poi ha sparato.
Un solo colpo dritto nella pancia, forse ha mirato al cuore e il proiettile ha colpito basso.
Per me è stato come un calcio di mulo in pieno ventre o almeno come immagino io il calcio ben assestato di un quadrupede incazzato.
Mi sono afflosciato senza nemmeno cercare di afferrare una delle pistole che avevo indosso e da allora sono rimasto a terra.
Il biondo irlandese mi ha scavalcato con uno strano ghigno nervoso sulla faccia e una Glock in pugno, ha afferrato la valigetta con i soldi che giaceva a terra inzuppata di sangue messicano rappreso, l’ha pulita con un kleenex e ha fatto un gesto rapido a Angie che dopo avermi lanciato uno sguardo veloce si è voltata ed è uscita dal capannone e dalla mia vita.
Guardo l’orologio e so che è arrivato il momento.
La vista è sempre più appannata e il freddo più intenso.
Nel display schiaccio un tasto e rimango in attesa.
Potrebbe non rispondere e io sarei definitivamente fregato, potrebbe avere già gettato via il suo telefonino, potrebbe … ma evidentemente non l’ha fatto.
“Sei ancora vivo …” risponde con voce incerta, quasi umana, forse per l’unica volta sincera.
“Per poco … solo per dirti addio e per chiederti perché …” la mia voce esce rauca, è la voce di uno che sta morendo e questa volta sono proprio io, la cosa mi lascia abbastanza indifferente, si confonde con il freddo intenso e con una sensazione nuova di perdita, come se il corpo si stesse separando dall’ anima relegando il dolore in un luogo remoto.
“Per denaro Michael … solo per denaro, che alla fine è l’unico motore che muove il mondo … non credi? “ e ride, scoppia a ridere con quella risata solare, allegra, gorgogliante e sazia che subito mi aveva fatto ribollire il sangue.
“Credevo fosse l’amore …”.
“Sei proprio un vecchio cazzone Michael, e sai cosa adesso mi hai proprio stancato, arriveranno i tuoi colleghi sbirri del cazzo e troveranno due poliziotti morti e i cadaveri dei messicani, troveranno la cocaina del Dipartimento e penseranno che voi stavate giocando sporco. Nessuno ci verrà a cercare, morti i messicani voi andrete nel paradiso degli sbirri coglioni con un’accusa infamante.
Niente pensione per la moglie di Ed e i suoi figli … che peccato … non trovi?”.
Guardo il display, e conto i secondi 5 …4… 3… 2… 1…il boato mi arriva alle orecchie come in un film o in un sogno, uno di quelli pirotecnici. Immagino la loro Chrysler nera noleggiata per l’occasione esplodere nella notte di Pasadena mentre sta percorrendo la strada verso il confine.
“Angie? …” so che non mi risponderà, non sentirò più la sua bellissima voce roca nel momento dell’amore e soprattutto quella risata.
Quei due giovani irlandesi hanno sottovalutato un vecchio sbirro bastardo come me ed è stato un gioco da ragazzi infilare una piccola carica esplosiva nel cofano motore. Mi è bastata una telefonata per procurarmi un detonatore che esplodesse dopo trenta secondi dall’inizio della conversazione con Angie.
Sento delle sirene in avvicinamento, non so se ululano per me o per lei.
Non sento più le mani, il telefono mi cade nel buio e adesso ho solo voglia di riposare … si riposare. Mi torna in mente quella bella canzone dei Rolling Stones come finiva?
Ma Angie, Angie, non è un bene essere vivi?
Angie, Angie, non possono dire che non ci abbiamo mai provato.
Io non avevo voglia di morire Angie e neanche di perderti, ma tu adesso sei in viaggio, non puoi ascoltarmi … pazienza Angelo vorrà dire che ci rivedremo … all’inferno.