Da via Francesco del Cossa a via Saffi un quarto d’ora di buon passo, come in un sogno, mio padre mi ha insegnato il percorso perché nel 1970 puoi muoverti per via Battindarno da solo anche a undici anni, perché sono questi gli anni che ho oggi mentre con un brivido d’emozione entro nella mia biblioteca.
Ognuno ha la sua biblioteca nella nostra città, ma io a undici anni non possiedo tutta Bologna, solo quella che conduce dal mio barbiere, in via Saffi, al mio cinema, il Supercine subito alla fine di via Battindarno e infine la mia biblioteca.
La biblioteca comunale non è grande, ma per me è enorme, un paio di sale alcuni lunghi tavoli quasi sempre vuoti e nel fondo dietro una scrivania imponente un uomo … il mio primo bibliotecario.
Non ha un nome, perché lui non è un uomo, è il bibliotecario, capelli grigi, sguardo gentile, e una quasi totale disponibilità, a volte sembra più triste e distratto perché forse ha preoccupazioni che per me undicenne sono imperscrutabili, ma spesso è gentile, attento, colto e sempre pronto a consigliarmi un romanzo.
Mio padre … è stato lui a portarmi in questo luogo magico la prima volta.
Mi ha spiegato che qui posso leggere, studiare e stare tutto il tempo senza pagare.
Mio padre mi ha insegnato che non sempre è possibile avere le cose, possederle, soprattutto quando mancano i soldi e nel 1970 un operaio della Weber carburatori con moglie magliaia è troppo concentrato sul contratto e non ha abbastanza soldi per i libri, ma per fortuna c’è la biblioteca. Il primo Salgari me lo ha regalato la Weber a Natale, gli altri li ho trovati tutti qui. Sfioro il settore dedicato ai ragazzi e accarezzo le copertine edite da Mursia che mi promettono avventure nei mari lontani e selvaggi che costeggiano Mompracen, i combattimenti, le battaglie, l’amicizia fra Sandokan e Yanez, l’amore per la perla di Labuan e colori, sapori, odore di polvere da sparo e fragore di combattimenti in mare.
E’ forse questo il paradiso? Un universo di libri colorati gratis che posso portare a casa leggere e poi riportare e riprendere e rileggere fino a saziarmi di avventura e di eroi, di amori e di corsari.
La biblioteca è vuota oggi, il silenzio è perfetto e io devo ancora scoprire Salgari, Verne con Ventimila leghe sotto i mari, Stevenson con L’isola del tesoro, Calvino con Marcovaldo, o Lewis Carroll con Alice nel paese delle meraviglie e che meraviglia pensare che devo ancora svelarli, in un momento lontano dagli orrori del futuro che non conosco, dalle guerre che non immagino mentre l’Italia si avvia velocemente verso gli anni di piombo, la strategia della tensione e la storia quella che per un ragazzo di undici anni può iniziare e finire in un libro di avventure.
Mi siedo e sfioro con mani indecise la copertina Mursia del romanzo di Salgari Il re del mare con quei disegni colorati, un Sandokan con la barba scura che impugna un kris e vicino un bianco, sicuramente Yanez e non vedo l’ora di poterlo leggere a casa mia nella mia cameretta incastrandolo fra i compiti di matematica e i primi Tex.
La vita è una cosa meravigliosa anche senza internet, la Play Station e Facebook, che nel 1969 sono solo parole prive di significato.
Mi sveglio con un sorriso, ieri pomeriggio ho parlato con Silvia della Sala borsa di Bologna e mi ha chiesto di mettere sulla carta un pensiero relativo ai libri.
Devo ringraziarla, quel pensiero si è trasformato in un sogno e in quel sogno c’era la mia prima biblioteca, il mio primo bibliotecario, mio padre e i miei primi libri.
C’ero anch’io in quel sogno con i miei undici anni e una purezza, una pulizia interiore che non potrò mai ritrovare neanche se mi formattassero il cervello, perché il cervello come l’hard disk del mio computer puoi anche resettarlo ma le ferite quelle rimangono chiare nette e impossibili da rimarginare.
Non c’è più la mia prima biblioteca. Adesso al suo posto c’è una banca, una delle tante, ma io continuo a vederla nella mia testa e ogni tanto quando sono fortunato la vado a trovare, con la sua atmosfera, quel profumo unico di carta stampata, nelle notti serene quelle dedicate ai sogni di un tempo che non c’è più.
Massimo Fagnoni
9 febbraio 2011