La caccia

Domani sarà ferragosto.
L’estate è arrivata a Borgo Capanne.
Un piccolo crocicchio di case inerpicate sulla salita che dalla statale conduce alla vetta della montagna.
Ultimo paese ai confini fra Emilia e Toscana è Granaglione.
Borgo Capanne è a metà strada.
Seicentoventiquattro metri sul livello del mare.
In estate si riempie di villeggianti, curiosa categoria di cittadini.
Nella stagione calda si spostano dalle loro abitazioni cambiando identità.
Si armano di bastoni nodosi, intarsiati da disegni cesellati da coltellini svizzeri e si riversano per sentieri e boschi nella speranza di incontrare la natura.
Il brigadiere Carta si deterge con energia il sudore che scivola dietro il colletto della camicia insinuandosi fra pelle e canottiera.
Cinquant'anni e sentirli tutti.
Sarà colpa delle notti lunghe di radiomobile, quando in Sardegna uscire in pattuglia significava rischiare la pelle.
Forse è colpa dei turni massacranti negli stadi o durante le manifestazioni di altri poveracci come lui che dicevano di essere proletari e intanto gli tiravano in faccia sassi e bottiglie.
Notti insonni, risvegli bruschi, ore e ore di straordinari non pagati inseguendo la vita, l'unica possibile, quella che sopra il berretto ha inciso a fuoco la fiamma del carabiniere.
Antonio Carta si asciuga il sudore che scende dai capelli corti e dalla fronte alta.
Sua moglie ha provveduto amorevolmente a tagliargli i capelli con il macchinino elettrico comprato in offerta a Porretta Terme.
Una grande invenzione pensa Antonio.
Sicuramente non entusiasmante per i barbieri.
Pazienza.
Lui ha un solo taglio di capelli, quello militare.
La tecnologia l’ha tolto dai guai.
La tecnologia e le mani di Maria.
Le mani di Maria sanno fare tante cose. Antonio sorride al pensiero.
Sono le otto di mattina di un’estate troppo calda anche all'ombra dei castagni eterni dell'Appennino tosco emiliano.
Antonio parcheggia la campagnola all’ombra di un’imponente quercia e scende con cautela dalla Jeep.
Un nuovo scricchiolio delle articolazioni gli ha dato il buongiorno questa mattina.
Il paese dorme ancora.
I vacanzieri se la prendono comoda alla vigilia della festa che sancisce il giro di boa dell'estate.
Sono i momenti che Antonio predilige.
Dopo avere mangiato una colazione di pane toscano e prosciutto crudo tagliato grosso, ha dato un bacio a Maria e l'ha lasciata sorridente sulla soglia di casa a salutarlo con la mano.
I figli sono altrove, in vacanza, chi in Grecia chi in Sicilia.
Sono cresciuti in fretta, si sono laureati. Il più grande sta studiando per diventare magistrato.
Esseri misteriosi i figli.
Si è spaccato la schiena con Maria per dare loro il meglio e adesso che sono effettivamente motivo d'orgoglio e soddisfazione svaniscono oltre l'orizzonte dei pensieri.
Frecce verso un futuro dove lui sarà solo un ricordo.
Sorride Antonio, mai contento, sempre contento.
Maria invece adesso ha quello che vuole.
Antonio le aveva promesso che la sua esperienza irachena sarebbe durata solo due anni.
Lei ha puntato i piedi, ha urlato al telefono, ha supplicato, si è infine rassegnata.
Dopo il suo ritorno indenne dal deserto più pericoloso del mondo, Antonio ha mantenuto la promessa.
Avrebbe scelto una destinazione pacifica, noiosa e definitiva.
Ha telefonato al suo amico di sempre, il maresciallo Ferri.
E' stato facile per un reduce dall'Iraq scegliere la destinazione.
E' stata una festa per la piccola caserma di Porretta Terme, accogliere il brigadiere Carta decorato in Iraq per la grande umanità e il coraggio dimostrato.
Antonio si ferma un minuto all'ombra della grande quercia e rivede gli occhi dei bambini.
I bambini sono simili in tutti i paesi del mondo.
Occhi grandi, sorrisi sinceri e curiosità per la vita.
Lui era riuscito a diventare un pezzo del loro quotidiano, con i suoi baffi neri, gli occhi azzurri senza ombre e quella pelle scura di sardo a denominazione d’origine controllata.
La mattina lo aspettavano nella scuola del villaggio dove era collocato il comando.
Lui non vedeva l'ora di passare a trovarli con piccoli regali e generosità italica genuina.
A sua moglie non confesserà mai la nostalgia.
In un paese remoto e ostile ha ritrovato il piacere di contare qualcosa per qualcuno che non aveva che occhi per sorridere.
Scrolla la testa di capelli neri, corti e crespi.
Adesso basta nostalgie, prima tappa il bar pizzeria del paese.
Un saluto a Sergio, il gestore, un altro caffè e poi la discesa verso la caserma di Porretta.
Dentro il bar regna una calma irreale.
Una pala di legno imponente attaccata al soffitto di travoni, muove l'aria con lentezza.
Bernardo Campisi è seduto in un angolo remoto del locale.
Sta tagliando con un coltellaccio a serramanico un pezzo di formaggio di pecora.
Muove il coltello con lentezza ragionata, asportando con attenzione la crosta.
Mastica lentamente pane toscano tagliato a fette grosse e formaggio pecorino locale.
Non è buono come il formaggio della sua terra, ma è il primo pasto decente da quando è uscito dalla galera approfittando di un permesso premio.
E' piccolo di statura Campisi, scuro come la sua terra lontana, forte di muscoli ereditati da una tradizione familiare di fame e violenza.
Ha mani callose e sgraziate, che riescono a compiere i più piccoli movimenti, con precisione e velocità, mentre taglia il formaggio e affetta il pane.
A metà del suo pasto mattutino si versa un bicchiere di vino toscano, rosso e scuro, leggermente acidulo, ruvido e genuino.
Non è vino di Sicilia ma per quest’ora del giorno può bastare.
Nel locale ci sono solo alcuni avventori anziani che parlottano piano, bevendo il caffè.
Apparentemente nessuno lo guarda, ma Bernardo sa che dovrà presto sparire, di nuovo in fuga.
Sergio dietro al banco del bar sta preparando un caffè e osserva con la coda dell'occhio il forestiero.
Non è persona curiosa.
E' abituato a farsi i fatti suoi.
La montagna, l'esperienza e l'età gli hanno insegnato la discrezione.
La faccia del forestiero però non gli piace.
Sicuramente è terrone”, pensa fra sé e sé, mentre lava una tazza facendo finta di niente.
 Sergio non è razzista, divide il mondo in due categorie.
I montanari come lui e tutti gli altri.
Nel mondo degli altri, sono tutti uguali, nessuno ha la sua fiducia, fino a quando non dimostra di meritarla.
Alcuni non potrebbero ottenerla nemmeno volendo.
Il piccolo siciliano seduto in un angolo intento a masticare formaggio non riesce a piacergli.
Il sole delle otto e dieci del mattino entra caldo dall'ingresso principale.
Il locale pizzeria di Borgo Capanne si chiama O.K. Corral.
L'ha voluto chiamare in questo modo Sergio che ama tutto ciò che odora di western e di americano.
L'entrata è un’esatta riproduzione di quelle dei saloon dei mitici film western.
Per un istante un’ombra copre un raggio di sole invadente e nello specchio della porta dondolante compare la figura massiccia e sudata dell'appuntato Carta.
Sergio vedendolo sorride e fa un cenno di saluto all'amico.
Un meridionale di rispetto, pensa, mentre lo invita ad avvicinarsi al banco.
Antonio con la sua camminata strascicata e pacifica si dirige verso il bancone.
“ L'unica cosa invidiabile di questo buco di paese era l'aria fresca d'estate.
Adesso mi devi dare un altro motivo valido per rimanere in tua compagnia” .
“ Il mio spezzatino di cinghiale e porcini può bastare?”
Antonio sorride sornione all'amico e si passa la lingua sulle labbra.
“ E quando pensi di cucinare la tua specialità?”
“ Domani, se non hai altri impegni sei invitato con la tua dolce metà alla cena della famiglia Nasci” .
Antonio strabuzza gli occhi.
E' un grande onore partecipare alla cena di una famiglia storica del piccolo paese.
 “ Affare fatto. Maria sarà entusiasta. Adesso preparami un caffè che il lavoro mi aspetta” .
Sergio ammicca in maniera impercettibile all'amico indicandogli con la coda dell'occhio il forestiero.
Carta cercando di apparire disinvolto si gira verso la grande sala della pizzeria semivuota e scorge sul fondo il piccolo ospite ancora intento a mangiare formaggio.
“ Chi è?” .
Chiede sottovoce a Sergio.
L'amico alza le spalle assumendo un’espressione interrogativa.
“ E' arrivato mezzora fa.
Mi ha chiesto formaggio, pane e vino.
Ha pagato subito e sta mangiando.
Sembra sbucato dal nulla, a piedi.
Strano non trovi?”
Antonio sorseggia il caffè e annuisce.
Dopo avere scambiato un’altra battuta con l'amico, si dirige con lentezza verso il forestiero.
Arrivato a un metro dal suo tavolino, si toglie il berretto da carabiniere e comincia a sventolarlo davanti alla faccia.
“ Gran caldo, non trovate?” .
Bernardo Campisi continua a masticare piano, come se non mangiasse da anni.
Si concentra sull'imponente figura del brigadiere che rimane a debita distanza.
Annuisce nella sua direzione senza proferire verbo.
Gli occhi sono due fessure disegnate sopra a un volto segnato e scuro come cuoio.
Antonio intuisce che il forestiero non è persona comune.
Un sesto senso, l'esperienza, l'abitudine a non fidarsi delle apparenze, a non abbassare mai completamente la guardia.
Un patrimonio che non s’improvvisa, ma si costruisce, frequentando la strada.
“ Potete dirmi come vi chiamate?” .
Chiede Antonio questa volta con maggiore autorevolezza, calandosi il berretto sulla testa e appoggiando mollemente la mano destra sopra la fondina nera della pistola.
Bernardo Campisi appoggia il coltello vicino al piatto del formaggio e dopo essersi pulito la bocca con una salvietta si versa mezzo bicchiere di vino.
“ Bernardo Campisi, brigadiere.
Sono di passaggio.
Sto andando in Toscana” .
Antonio sorride per la prima volta allo sconosciuto.
Siciliano.
Conosce i gradi dell'Arma.
Probabilmente ha conosciuto il duro braccio della legge.
“ Avete fatto una deviazione.
Per la Toscana vi conveniva rimanere sulla statale” .
Bernardo sorseggia il vino con lentezza, come se fosse brandy.
“ Stavo cercando il fresco.
Come avete detto voi oggi è molto caldo” .
Antonio annuisce.
“ Perdonate la diffidenza.
Qui ci conosciamo tutti e le facce nuove suscitano sempre un po' d'allarme.
Avete un documento che terminiamo in bellezza la chiacchierata?” .
Bernardo sorride a sua volta.
E' un sorriso stretto, contratto, di persona che non conosce il significato della parola “pace”.
Al posto di un incisivo spicca una capsula d'oro.
Infila con lentezza la mano nel taschino di una sdrucita giacchetta di jeans e da un portafoglio che ha visto tempi migliori, estrae una carta d'identità malconcia che consegna al brigadiere.
“ Bene.
Una telefonata e amici come prima.
Intanto lei deve ancora finire la sua colazione, giusto?” .
Come vossia comanda” .
Antonio senza voltargli le spalle si dirige verso il telefono del locale.
A Borgo Capanne il cellulare non funziona sempre.
“ Caserma carabinieri Porretta” .
“ Buongiorno Gentile, passami Ferri che ho bisogno” .
“ Subito brigadiere” .
Trascorrono pochi secondi.
“ Buongiorno Antonio, che succede, non scendi a valle, la vigilia di ferragosto?” .
“ Buongiorno a te Tommaso. Stavo appunto scendendo, ma al bar ho incontrato un personaggio strano e volevo fare un controllo.
Ci puoi pensare tu?” .
“ Niente nominativi fino a mezzogiorno, compare.
La vigilia di ferragosto il sistema fa le bizze” .
“ Come non detto, mi terrò i dubbi e chi se ne frega” .
“ Si fai così e muoviti a scendere che il sindaco ci vuole vedere per l’organizzazione della festa di domani” .
Antonio rimane con la cornetta a mezz'aria.
La festa di domani, sono tutto un fremito” pensa sorridendo Antonio e con la carta d'identità in mano si dirige nuovamente verso il bancone del bar dove è rimasto in attesa Sergio.
“ Quindi?” chiede l'amico curioso.
“ Quindi niente.
In Italia la vigilia di un giorno di festa si blocca tutto e sai che ti dico?
Saluto il nostro amico e me ne vado a Porretta” .
Dopo avere rivolto queste parole a bassa voce, il brigadiere si dirige lentamente verso il tavolo, dove è seduto, immobile, il piccolo siciliano.
Antonio ha la carta d'identità in mano e sorride.
Il boato dell’improvvisa detonazione entra nel silenzio del locale come un fulmine a ciel sereno.
Il tempo si ferma.
Antonio viene investito dal proiettile della pistola all’altezza dello stomaco.
E’ come il calcio di un mulo.
Il potere d’arresto di una Smith & Wesson calibro 38 a due metri di distanza è definitivo.
Il brigadiere Carta cade all’indietro e si porta le mani al ventre.
Capisce immediatamente che ha fatto un errore, uno di quelli irreversibili.
Sente le mani appiccicose del suo sangue e avverte un dolore fortissimo al ventre, decisamente insostenibile.
Sviene, negli occhi l’immagine sfuocata di Bernardo Campisi.
Nella risibile frazione di secondo che ha preceduto lo sparo, Antonio ha notato un’impercettibile variazione nella posizione delle mani del siciliano.
Bernardo ha sparato da sotto il tavolo.
Adesso si avventa subito sul corpo del carabiniere tenendo il piccolo ma micidiale revolver puntato contro il bancone dove Sergio sta gridando improperi verso di lui.
Antonio è svenuto.
Bernardo gli sfila veloce la pesante Beretta d’ordinanza dalla fondina.
Cerca e trova le chiavi d’accensione della campagnola di servizio.
Scatta in piedi, veloce ed elastico come un furetto e con le due pistole in pugno si avvia all’indietro verso la porta basculante dell’Ok Corral.
Sergio aggira il bancone e corre verso l’amico per soccorrerlo.
Intanto uno degli avventori corre verso il telefono per chiedere aiuto.
Bernardo punta la pistola contro Sergio, poi ci ripensa e scompare nel sole.
Tommaso Ferri si regge con entrambe le mani al sostegno interno della Land Rover Defender che sta correndo ululante verso Borgo Capanne.
Il suo corpo è un unico fascio di nervi.
Inspira, espira.
Fai come ti hanno insegnato Tommaso, non farti possedere dalla rabbia.
Non temerai alcun male. Tu sei già morto mille volte e non morirai oggi”.
Tommaso Ferri, quarantacinque anni, maresciallo capo della stazione di Porretta Terme.
Otto anni nei Ros. Altrettanti nel servizio scorte prima in Sicilia poi in Campania.
Decorato al valore, una moglie, due figlie adolescenti. Fino a ieri aveva la certezza che l' amico di sempre, Antonio Carta, avrebbe trovato pace e serenità in quel di Porretta, ora non è più certo di nulla.
Accanto a lui guida veloce il carabiniere Roberto Lenzi.
E’ di Ponte della Venturina, il paese dal quale si sale per arrivare a Borgo capanne. Conosce molto bene la montagna, i sentieri, le vie di fuga.
Dietro ci sono i carabinieri Gentile e Sacco accanto al cane Argo, fedele amico di Ferri e ottimo segugio. E’ uno Spinger Spaniel, piccolo segugio inglese, ottimo fiuto specialmente nel seguire tracce di sangue. Gentile accarezza nervoso la canna della pistola mitragliatrice pm 12, lo sguardo perduto nel nulla tenendosi con una mano attaccato alla carrozzeria della jeep.
Sopra di loro s’intravede l’elicottero del 118 che sta dirigendosi veloce verso l’Ospedale Maggiore di Bologna.
Trilla il cellulare di Ferri.
“ Lascia parlare me” . Urla il maresciallo nel telefono.
“ Voglio sapere con chi abbiamo a che fare e voglio saperlo adesso.
Appena hai notizie sulle condizioni di Antonio, chiama prima di tutto me, soprattutto se non ce la dovesse fare.
Organizza lo spostamento della moglie verso Bologna.
Hai capito tutto La Cava?” .
Ferri intasca il telefono e ricomincia a stringere i denti.
Arrivati davanti al bar, gli uomini scendono veloci seguiti dal piccolo segugio.
Sergio è accasciato su una sedia. Gli avventori del bar sono intorno a lui.
Nessuno ha calpestato il sangue di Antonio, più per rispetto che per attenzione.
Sergio scorge Ferri e si alza verso di lui, le lacrime scendono lungo le guance.
Un orso disperato.
“ Non ho potuto fare nulla maresciallo.
Per un attimo pensavo volesse sparare anche a me” .
Ferri appoggia la mano sulle spalle di Sergio, un solo istante.
“ Ha lasciato tracce il maledetto?” .
“ Mentre fuggiva, ha perso un fazzoletto che aveva al collo, è rimasto lì dov’era quando è caduto” .
“ Che direzione ha preso?” .
“ Verso la montagna, il sentiero che porta a Monte Cavallo, con la campagnola d’Antonio” .
Ferri stringe gli occhi, mentre Lenzi fa annusare il fazzoletto rosso sangue ad Argo che scodinzola nervoso.
“ Noi andiamo, tu di a tua moglie di stare vicino a Maria” .
Sergio annuisce continuando a piangere come un bambino.
Ferri si volta e va verso l’uscita.
Sergio lo afferra forte per un braccio.
“ Ce la fa Antonio, vero?” .
“ Antonio è forte, ce la metterà tutta. Cerca di stare tranquillo e non pulire il sangue, non ancora. Non fare entrare nessuno” .
La Land Rover sale ruggendo lo stretto sentiero verso la montagna.
I quattro uomini sono muti, hanno un solo obiettivo ora, catturare la bestia.
Suona il cellulare di Ferri.
“ Maresciallo ho le informazioni sul soggetto” .
“ Dimmi” . “ Dal nome, risulta che Bernardo Campisi è latitante, si è allontanato approfittando di una licenza premio. Pluriomicida, soldato della famiglia Campisi, di Ragusa. Lo chiamano il lupo. E’ pericoloso assai” .
“ Arrivano i reparti speciali?” .
“ Sono tutti impegnati in Sicilia, dovete arrangiarvi da soli almeno per le prossime tre ore” .
Ferri guarda i suoi uomini ed il cane Argo.
Da soli basteranno, pensa e mette il colpo in canna.
Gli uomini lo guardano e lo imitano senza chiedere nulla.
Campisi frena bruscamente.
La campagnola ha come un sussulto di ribellione dopo la folle corsa dell’uomo lungo la salita del sentiero.
Il sentiero adesso diventa una mulattiera e Campisi deve trasformarsi in lupo.
Scende dalla campagnola, infila le due pistole nella cintura dei pantaloni, appoggiandole sulla schiena e controlla la cartina dei sentieri che ha comprato in edicola del paese a valle.
E’ bravo a leggere i sentieri. Deve arrivare in Toscana, la lo aspettano amici e libertà.
Se riesce a superare il confine e spingersi fino al passo questa sera mangerà fiorentina e berrà Chianti direttamente dal fiasco.
Nuova banda, nuova vita.
Non voleva sparare al carabiniere. Si trattava di vita o di carcere e lui è stanco della gabbia.
Un lupo non può stare in gabbia, prima o poi impazzisce e muore.
Annusa l’aria. Sente un nuovo fremito nel debole vento che s’insinua nel sottobosco a ottocento metri d’altezza.
Stanno arrivando i cacciatori.
Lo sa, lo intuisce, ancora prima di sentire il loro affannato e rabbioso incedere.
Comincia a muoversi velocissimo nel sottobosco, come un lupo sale quasi a quattro zampe con il corpo piccolo e muscoloso proteso verso la terra.
Non sente più il calore del giorno, si compenetra nell’odore della terra, nell’umido del muschio nel profumo di porcini e segue guardingo impronte di cinghiali spingendosi verso la vetta.
Non lo possono catturare, lui è il lupo. Anche se gioca fuori casa il bosco, qualsiasi bosco è la sua casa.
Il Land Rover inchioda subito dietro la campagnola.
Gli uomini scendono, armi in pugno, si dispongono a raggiera come gli ha insegnato Ferri.
Non potrà ucciderli tutti. Morirà crivellato dopo il primo sparo.
Il silenzio è perfetto in questo spicchio di foresta.
Ferri lo sa che Campisi non è più in quel luogo.
Lo intuisce guardando il muso fremente di Argo che punta il suo piccolo corpo nodoso verso la mulattiera. I carabinieri cominciano a salire in fila indiana guidati dal cane e da Lenzi.
“ Tenete le armi in sicura, che non vorrei mai vi partisse un colpo nel momento sbagliato” .
I carabinieri sentono il caldo, sudano nelle loro divise estive, le camicie impregnate sul petto e sulla schiena.
 “ Che modo schifoso di trascorrere la vigilia di ferragosto “.
Pensa Sacco.
Gentile non pensa, rammenta il brigadiere Carta, mentre gli racconta le notti di pattuglia in Iraq.
Lo rivede, sereno, con gli occhi chiari, mai arrabbiati, sempre pazienti anche con i colleghi più giovani e incapaci come lui.
Lo ricorda durante una rissa fra giovani montanari ubriachi fuori da una discoteca a Lizzano in Belvedere.
La forza dell’esperienza. L’autorevolezza che si apprende con il mestiere.
Riuscì a fermare un gruppo di montanari ubriachi prima che spuntassero coltelli e chiavi inglesi.
Un capo, un amico, un modello per lui.
Cammina negli anfibi nuovi e sente già il dolore delle vesciche. Ringrazia la fatica, la salita, il sudore che gli impedisce di concentrarsi sulla paura concreta di non rivedere l’amico.
Lenzi è concentrato su Argo che sembra sicuro del suo olfatto e tira come un cane da slitta, proteso verso la preda.
Ferri è subito dietro e ogni tanto dà un occhiata al telefono per verificare il campo.
Più vanno verso il passo più è difficile comunicare con la valle.
Dentro ha un buco nero che vorrebbe prendere il sopravvento.
Se Antonio muore, anche lui è morto, morto per sempre.
Non lo confesserebbe mai a sua moglie, ma lei finirebbe per scoprirlo.
Antonio gli ha salvato la pelle ed è sempre stato per lui il fratello maggiore che non ha mai avuto.
Il padre che ognuno vorrebbe avere.
Durante una partita di calcio, quando erano insieme al battaglione Ferri, si ritrovò isolato.
La camionetta assediata da un gruppo di teppisti bergamaschi.
Ferri sapeva che quei giovani orchi mascherati con sciarpe colorate lo stavano puntando.
Avevano intuito che era in trappola.
Ferri sentiva la paura. Per la prima volta la concreta paura di morire.
Pensò, per un istante, di tirare fuori la pistola, ma erano troppi, decisamente troppi.
L’allora appuntato Carta non si era dimenticato del collega più giovane e come nella migliore tradizione guidò personalmente il blindato verso di lui.
Ferri se la cavò con qualche costola incrinata e la consapevolezza di non essere invincibile.
Quanti aneddoti come quello si stanno inseguendo nella testa?
Rammenta i suoi utili consigli durante il concorso per diventare maresciallo, quel concorso che Antonio non avrebbe mai fatto.
Se esiste un amico, quello è il brigadiere Carta e meglio ammazzare la bestia che gli ha sparato piuttosto che aspettare impotente fuori da una sala operatoria.
Lenzi si abbassa per evitare un ramo spezzato. Ferri lo imita.
Sacco, pesta un ramo evitato dai primi due.
Veloce come una ghigliottina un altro ramo scatta verso di lui conficcandogli un coltello a serramanico nella spalla.
Sacco urla per la sorpresa e per il dolore.
Il coltello spinto come da una molla è entrato completamente nella carne del braccio sbattendo a terra il giovane carabiniere.
Sacco tiene l’altra mano intorno all'elsa del coltellaccio e urla, grugnisce, bestemmia, piange, completamente in balia dello shock.
Il piccolo drappello di uomini si paralizza, rimane congelato nell’ansimo dei polmoni in fiamme, nel rumore sommesso del respiro del segugio e nei lamenti incessanti del povero Sacco.
Bernardo Campisi è fermo nella penombra del fitto intreccio di arbusti.
Tutti i sensi all’erta.
Ha sentito le urla di dolore.
Arriva fino a lui l’odore della paura, del sangue, dell'afrore dei nemici.
Sono poco distanti, immobili.
Lui li ha costretti a fermarsi.
Sorride la bocca sgraziata di denti radi.
Il dente d’oro sembra brillare nel buio del bosco.
Ora saranno costretti a ritirarsi.
Qualcuno è ferito, forse morto.
Carabinieri maledetti, anche questa volta vi fotto io.
il lupo è troppo forte, fetusi maledetti”.
Il pensiero di Campisi è veloce, rabbioso come il coltello che si è piantato nella carne di Sacco.
Il piccolo siciliano rimane disteso nel buio ad annusare l’aria in attesa di percepire la ritirata dei nemici.
Sta quasi per muoversi. Si ferma di nuovo.
 Non è possibile hanno ripreso a salire “ sente il fruscio del loro avanzare.  Hanno i cani, i maledetti “.
Adesso è arrabbiato Campisi, non capisce chi sono costoro che non lo vogliono mollare.
Guarda sopra di lui, vede la fine del sentiero, intravede il piccolo campanile diroccato di Monte Cavallo.
Oltre il piazzale della chiesetta c’è il passo.
Oltre il passo, la libertà. I compari lo attendono poco più a valle.
Ricomincia a salire muovendosi veloce, carponi, silenzioso come un animale.
A pochi passi dalla radura trova la posizione.
Si nasconde dietro una roccia. Con lentezza inserisce il colpo nella canna della lunga Beretta calibro 9x21. E’ una pistola da guerra, spara precisa a una distanza tanto breve.
Li sente avvicinarsi.
Stanno per uscire dal fitto della boscaglia.
Riesce a sentire la puzza di cane, mescolata all’odore di sudore degli uomini, all’odore di sangue dei feriti.
Appoggia l’avambraccio sopra la roccia, respira lento. Sa che nel momento dello sparo il suo corpo dovrà essere una sola cosa con la pistola.
Non può permettersi di sbagliare un colpo.
Ecco un movimento. Fra gli arbusti spunta il muso di un piccolo segugio.
 Tu sarai il primo a morire servo dell’uomo “.
Il dito accarezza dolcemente il grilletto.
Un colpo fortissimo gli esplode nel cranio, poi un altro più breve.
La luce gli entra fulminea negli occhi, un’enorme festa di fuochi artificiali.
Riesce a pensare  Bello...  poi sviene.
“ Sveglia animale” .
Campisi apre gli occhi bagnati da una secchiata d’acqua.
Ha un dolore persistente alla testa.
E’ legato, le braccia dietro la schiena allacciate al tronco di un castagno, i polsi stretti da manette.
E’ seduto, le caviglie strette da fascette di plastica.
Davanti a lui c'è un carabiniere, la camicia estiva fradicia di sudore e sporca del sangue di qualcun altro.
Gli occhi sono verdi, stretti e freddi.
Occhi da lupo.
“ Tu pensavi di essere furbo
Non mi hai sentito arrivare.
Non sei poi così bravo.
Più che lupo mi sembri pecora” .
Oltre all’uomo che sta parlando c’è un altro carabiniere più giovane e un cane.
“ Falla finita maresciallo.
Lo so, mi vuoi ammazzare.
Io ho fottuto il tuo brigadiere.
Un uomo di pezza, non aveva capito con chi aveva a che fare” .
Ride Campisi, una sorta di risata gracchiante. Termina in un gorgoglio rabbioso e in un accesso catarroso di tosse.
Ferri ha la pistola di Carta in mano, il cane alzato, gli occhi iniettati di sangue.
“ Maresciallo non si faccia prendere dalla rabbia.
E’ quello che vuole il maledetto” .
Lenzi sta trattenendo Argo che abbaia contro Campisi.
Scodinzola eccitato ora che ha raggiunto il suo obiettivo.
Un raggio di sole penetra nella piccola spianata di Monte Cavallo.
Riesce a superare le cime degli alti fusti che coprono il cielo e salvano dalla calura di mezzogiorno.
In quell’istante trilla il cellulare di Ferri.
Il maresciallo appoggia la Beretta, con mani tremanti si porta il telefono all’orecchio.
“ Maresciallo sono La Cava” .
“ Ho visto chi sei... non lasciarmi sulle spine” .
“ Il brigadiere ce l’ha fatta, marescià.
Ha perso un sacco di sangue, gli hanno dovuto asportare la milza, è privo di conoscenza ma il proiettile non ha colpito organi vitali” .
“ E bravo La Cava.
Ti sei appena guadagnato una licenza premio” .
Ferri si avvicina a Lenzi e lo abbraccia.
“ Allora carabiniere di merda, se mi lasci vivo io scappo di nuovo e ti vengo a cercare, te lo giuro, parola di lupo” .
Ferri si volta verso Campisi, si siede a un metro da lui, appoggia il berretto intriso di sudore accanto ai suoi piedi, accende una sigaretta e rimane beato a guardare la preda.
“ Campisi tu vivrai, nonostante tutto.
C’è una differenza fondamentale fra te e noi.
Tu sei una bestia, una bestia feroce.
Noi siamo uomini.
Tornerai in gabbia e questa volta non scapperai” .
Campisi si agita, graffiandosi i polsi stretti dalle manette e urla e impreca.
“ Maledetto, fetuso, che tu possa morire ammazzato.
La pagherai... “ .
Continua a imprecare, a bestemmiare a urlare.
Nessuno lo ascolta, nessuno gli parla.
La sua voce si perde oltre le alte cime degli alberi, riecheggia nella vallata
Sembra il lungo ululato di un lupo ferito.