Pietro entrò con discrezione in quello che un tempo era il suo reparto. Era in pensione da pochi mesi, e si stava ancora godendo quella strana sensazione di libertà inattesa, come se dovesse finire da un momento all’altro, con la frequente preoccupazione che un bel giorno il suo vecchio Ispettore l’ avrebbe chiamato per telefono, probabilmente durante la notte per chiedergli, quando sarebbe ritornato.
In realtà nella sua lunga carriera nella Polizia Municipale non era mai accaduto che qualcuno lo chiamasse a casa per chiedergli del perché di una sua prolungata assenza.
Pietro era una roccia, si ammalava poco, e stava a malincuore a casa in malattia.
Era un problema d’educazione il suo, non amore indefesso per il lavoro.
Lui pensava che la malattia fosse un segno di debolezza e che per stare a casa dal lavoro ci voleva un reale impedimento fisico, non una banale influenza.
Da quando era arrivata l’insperata pensione, in realtà, erano comparsi i primi acciacchi insieme ai suoi sessantacinque anni.
Un fastidio dentro le ossa, lo descriveva così a sua moglie, che pazientemente lo stava ad ascoltare la sera sul divano davanti alla televisione.
Pietro la mattina aveva ancora l’abitudine di andare a correre, e partiva con qualunque stagione, mentre sua moglie Lina gli sorrideva dalla finestra raccomandandogli con gli occhi di non esagerare.
Lei sapeva come prenderlo il suo uomo e forse era l’unica che in tutta la sua vita aveva avuto la forza e la pazienza per stargli sempre vicino.
Pietro non era cattivo in fondo, aveva un carattere risoluto e per questo era ricordato come uno dei “vigili” più determinati e più temuti dell’intero Corpo di Bologna.
Pietro, entrando nel suo reparto, per un attimo ritrovò l’emozione del suo lavoro.
Non lo aveva raccontato mai a nessuno, ma per lui c’era sempre una leggera eccitazione ogni volta che entrava in servizio.
C’era sempre un collega che lo salutava, qualcuno che gli chiedeva consiglio su come affrontare un problema o risolvere una questione.
Specialmente negli ultimi anni era diventato il vecchio burbero e saggio del Reparto, che era stato capace di affrontare il mondo e la città uscendone sempre a testa alta, a volte malconcio ma mai sottomesso, mai intimidito dall’amministrazione o dai poteri forti che in ogni ricco capoluogo la fanno da padroni.
Pietro solitamente entrava in servizio già pronto per uscire, divisa impeccabile, barba fatta e dal suo metro e novanta d’altezza dominava il reparto, la sala riunioni degli agenti e poco oltre gettava uno sguardo alla segreteria dove sedeva e coordinava Anna, sua collega, che gestiva ferie, malattie e orari dell intera squadra.
Anna era entrata con Pietro, stesso concorso, forse per questo fra i due era rimasto in tutti gli anni condivisi affetto e stima reciproca.
Gli agenti erano obbligati ad affrontare la città, ma a lei toccava tenere testa a tutti loro e alle loro esigenze, era lei la vera anima del reparto, ancora di più dei vari ispettori che in tanti anni si erano passati il testimone.
In quel momento in ufficio non c’era nessuno, Anna era andata in pensione da qualche anno, per motivi di salute. Forse anche lei sarebbe arrivata durante la mattinata, perché quello era un giorno speciale, uno dei quattro o cinque giorni della vita di un uomo in cui ci si può fermare a ricordare, senza pudore d’essere preda della nostalgia.
Molti uomini hanno paura di affrontare certi appuntamenti, perché possono fare male, fare tremare le gambe, serrare la gola. Pietro dietro i suoi baffoni grigi guardava con i suoi occhi, meno scuri di un tempo, quello spazio che era stato suo e che ora non lo era più e dentro cominciava a sentire una leggera trepidazione.
Entrò improvvisamente un giovane agente che Pietro non conosceva, sentì la sua energia nella forza con la quale chiuse la porta dell’ufficio.
“Buongiorno” disse il giovane trovandosi di fronte Pietro e doveva sapere chi aveva davanti perché tendendo la mano al vecchio sorrise, con sguardo ammirato: ”Voi dovete essere Penna Bianca!” disse con tono misurato l’agente.
Pietro esplose in una risata, perché non sentiva da molto tempo quel soprannome.
Lo chiamavano Penna Bianca quelli che lo conoscevano bene e che sapevano dei suoi trascorsi militari.
Pietro era stato ufficiale di complemento nell’esercito, e aveva faticato insieme con artiglieri e muli nella regione più povera che ricordava, il Friuli.
Nel Friuli c’era la Carnia la parte più lunare dell’intero territorio, e lì come una maledizione c’era stato nel passato il più alto concentramento di caserme d’alpini a difendere i confini da un nemico, che, come nei migliori romanzi di Buzzati, non sarebbe mai arrivato.
Pietro aveva fatto il sottotenente in una di quelle caserme, nella Brigata Julia, l’unica, dicevano, che aveva vinto la guerra.
L’ amore per la divisa, per la disciplina, gli era rimasta da quell’esperienza.
Tornato a casa però il partito lo aveva cercato, e il suo amore per le divise era dovuto andare in cantina, perché male si addiceva negli anni 70 un comunista militarista.
Pietro era contraddittorio, lo era sempre stato.
Non sarebbe mai potuto diventare un poliziotto o un carabiniere, in una Bologna che non vedeva di buon occhio l’ordine dello Stato.
Forse per questo era diventato un agente della Polizia Municipale, per potere continuare a convivere con le proprie contraddizioni e desideri.
“Penna bianca “ era diventato il suo soprannome per i colleghi che lo conoscevano meglio, e lui lo amava, ma non permetteva a tutti di chiamarlo così.
“Si sono io, o quello che ne rimane” mormorò, maledicendosi subito dopo, per avere detto una cosa che puzzava di commiserazione.
Lui non sopportava chi si compiangeva, era una cosa da vecchi nostalgici e lui aveva sempre giurato che non sarebbe diventato così.
“Mi sembrate in gran forma” disse con slancio l’agente, sorridendo con Pietro, guardandolo dal basso del suo metro e ottanta aggiunse: ” Mi chiamo Antonio Bardi” sono qui da pochi mesi, prima lavoravo in provincia, un altro mondo”.
“Io abito fuori Bologna, so cosa vuole dire fare il nostro lavoro in campagna, ci sono diverse priorità, ma se vuoi divertirti davvero devi stare qui dove i matti si concentrano di più”.
Risero entrambi, Antonio si accomiatò con lo scopo di dirigersi nell’ufficio a fianco per sbrigare alcune pratiche e Pietro si sedette ad una scrivania libera della sala vigili, e anche se non lo aveva fatto consapevolmente era il posto dove sedeva abitualmente, la posizione dove sbrigava le sue pratiche al rientro dai giri di pattuglia, una ottimo punto d’osservazione dal quale vedeva chi entrava e chi usciva, un suo modo di controllare lo spazio.
Erano le 9,45 di mattina e nella grande sala riunioni, ai piani superiori, stava per svolgersi una cerimonia in occasione della pubblicazione di un libro che illustrava la storia del Corpo.
Lui era stato invitato come testimone di trentacinque anni di vita lavorativa nella Polizia Municipale.
Il comandante in persona, gli aveva chiesto di tenere un breve discorso sul ruolo dell’agente di Polizia Municipale nella società che cambia.
Avrebbe dovuto raccontare un aneddoto, senza entrare nei particolari.
Era un rischio calcolato chiedere a Pietro un intervento, ma qualsiasi cosa avesse deciso di dire, sarebbero state le parole di un vecchio.
Una testimonianza nostalgica che avrebbe dato maggiore enfasi alla cerimonia.
Pietro stava seduto alla sua postazione e guardava quella grande stanza che per anni aveva frequentato e calpestato.
Nell’angolo di una scrivania c’erano dei guanti sopra ad un cappello bianco, consunto e sdrucito, in un'altra postazione spuntava una paletta e vicino un codice della strada e un codice penale.
Quotidiani locali erano appoggiati vicino all’ingresso, copie omaggio che qualche agente aveva recuperato presso la sede del “Carlino” durante il turno di notte.
Nella stanza c’era un sottile odore di cuoio e di pelle, di carta e d’inchiostro, di uomini e di stanchezze.
Pietro non si era mai soffermato a lungo a guardare quel posto.
Si era sempre limitato a viverci in quel luogo, a consumare i momenti precedenti alle uscite in pattuglia, a trascorrerci i momenti successivi per scrivere relazioni, redigere verbali.
Gli tornavano alla mente le innumerevoli festicciole per un matrimonio, per la nascita del figlio di un collega, per gli addii di chi cambiava reparto, comune, o per chi andava in pensione.
“Come ho potuto permettere a questi trentacinque anni di scivolare via così”, pensava Pietro e improvvisamente gli tornò in mente Luca, come sempre più spesso gli capitava da qualche settimana.
“Luca dovrebbe essere qui oggi, lui dovrebbe pronunciare il mio discorso, lui sapeva imbarcare le persone”, così pensava Pietro e un velo sopra gli occhi passò a fermare i pensieri, il tempo, la memoria e qualsiasi desiderio.
Aveva sentito tante nostalgie nella sua vita, donne che l’avevano tradito, amici che avevano cambiato città, colleghi che erano andati in pensione, la morte dei suoi vecchi, ma la nostalgia che provava adesso per Luca era di un'altra qualità.
Aveva pudore di parlarne anche con la sua Lina, forse temendo di ingelosirla, o forse perché era una cosa troppo intima che andava a saldarsi con la sua pelle e gli faceva male, dentro le ossa e dentro la testa come un rimpianto che non può trovare pace.
Luca era stato il suo ultimo compagno in pattuglia e con lui aveva condiviso complessivamente gli ultimi cinque anni, esterni della sua carriera, prima di decidere che era troppo vecchio per uscire a fare danni in giro.
Luca Bolognesi, più giovane di lui di cinque anni era suo grande amico nel lavoro e nella vita.
Era l’unica persona che Pietro frequentava anche fuori dell’ufficio. Con i suoi tempi e centellinando questa frequentazione, andavano a correre insieme, a volte. A entrambi piaceva correre sulle colline di Bologna, partendo da Villa Spada in Via Saragozza arrivavano fino a S. Luca, dieci chilometri di salita, una strada dolce che faceva faticare e infine c’era sempre la discesa sotto i portici che li riportava alla città.
Luca era, al contrario di Pietro, estroverso, comunicativo, solare e tollerante, insieme avevano formato una pattuglia integrale.
Pietro conosceva bene il codice della strada, la sua passione, insieme ai regolamenti comunali, Luca era laureato in legge e conosceva bene la procedura penale.
Negli ultimi anni anche l’aspetto penale era diventato importante nel loro lavoro e Pietro che digeriva malvolentieri i cambiamenti di ruolo gradiva un collega che lo supportava nei diversi interventi quando rischiava di fare dei grossolani errori.
Luca non era sposato, aveva il suo giro di ragazze e piaceva al gentil sesso grazie ai suoi modi e al suo aspetto gradevole. Era un uomo alto, un po’ meno di Pietro, e un po’ meno squadrato, ma aveva un’eleganza nel parlare e nel muoversi che a Pietro ricordava certi attori americani modello Cary Grant.
Pietro più rozzo, nei modi, più introverso ammirava l’eleganza del collega e la sua cultura e aveva per lui un affetto vero, privo di gelosie o invidie.
Luca voleva bene a Pietro, vedeva nel collega più anziano una figura paterna, forse quel padre che non aveva mai avuto, si sentiva sicuro in pattuglia con lui, sicuro della sua forza, della sua determinazione che in qualsiasi situazione, anche più pericolosa o difficile aveva sempre permesso di uscirne senza troppi danni.
Una folla di ricordi arrivò,senza troppo clamore, a distrarre Pietro dal presente.
Luca non c’era più, un incidente in montagna se lo era portato via.
Amava la montagna il suo collega, si muoveva fra i suoi monti come nel salotto di casa. Non era un vero e proprio alpinista, ma amava le escursioni, e durante un fine settimana insieme con un gruppo di amici era caduto in un crepaccio mentre si trovava vicino alle pareti del Monte Bianco in un fine settimana di inverno, due anni prima.
Quando accadde la disgrazia i due amici non lavoravano più insieme.
Pietro aveva deciso per raggiunti limiti di età di cercarsi un posto in ufficio nel suo reparto e da lì aspettava i rientri del suo amico.
Per Luca lui era rimasto un punto di riferimento e spesso si scambiavano pareri sul lavoro.
La notizia della sua morte gli arrivò che mancavano pochi giorni a natale.
Come accade nel lavoro, da quando non erano più coppia fissa in pattuglia si frequentavano meno anche fuori, si sentivano più raramente ma fra loro era rimasto un forte legame.
Anna, la collega della segreteria, gli telefonò una sera per dargli la notizia.
Pietro stava preparando l’albero nel salotto di casa sua e rimase come paralizzato con gli addobbi in mano mentre Anna gli comunicava che il suo amico non c’era più.
I ricordi sono l’unica cosa che alla fine danno un significato alla nostra vita, specialmente quando cominci ad essere troppo vecchio per correre dietro al presente.
I ricordi di Pietro erano pieni di sua moglie, del suo lavoro e del suo amico.
Una parte della sua testa se ne era andata con lui e fu un sollievo l’arrivo della pensione per non dovere più aspettare in ufficio l’arrivo del suo collega, che non sarebbe più rientrato.
L’ orologio Ikea dell’ufficio segnava le 10,00 e un Napolitano sorridente lo guardava dall’alto della parete a ricordargli i suoi doveri di vecchio.
Pietro si alzò sentendo una sorta di indolenzimento alle anche.
Uscì dal reparto, dopo avere salutato il giovane agente si diresse ai piani alti.
Nei corridoi incontrò persone che lo salutavano, con la superficialità di chi ti conosce di fama e sa che non sei più nulla lì dentro, solo un pensionato in visita.
Pietro lo sapeva, anche lui provava la stessa sensazione di distacco quando, ancora in servizio, incontrava uno dei vecchi colleghi in visita, un misto di pena e di indifferenza.
Nella grande sala c’erano già tutti, il Comandante, ex colleghi come lui,venuti a ritirare una copia del libro e a ricordare, ognuno, un pezzo della propria vita.
Nel salone qualcuno gli corse incontro. Finalmente vide Anna la sua vecchia collega e le sorrise.
“Temevo di non incontrarti”, gli sussurrò Anna, mentre si abbracciavano teneramente, quasi con il timore di farsi male.”Non potevo mancare”, rispose Pietro, ”Sono qui per me, per Luca e per rivedere te, naturalmente”.
Il Comandante richiamò discretamente all’ordine la piccola folla di astanti: ”Bene signori se volete prendere posto, andiamo a cominciare”. I presenti continuando a chiacchierare cominciarono a sedersi.
Aprì l’incontro l’assessore comunale alla viabilità, che in pochi minuti ricordò il ruolo rilevante che la Polizia Municipale svolgeva per la sicurezza dei cittadini e le solite frasi piene di retorica.
Il Comandante prese poi la parola e la passò al responsabile dell’Ufficio Studi che aveva seguito la redazione dell’opera di cui oggi si parlava.
Iniziò il suo discorso l’ispettore Magli che cercò di spiegare il titolo del libro: ” Dal vigile all’agente di Polizia Municipale, evoluzione di una professione-”, L’ispettore cominciò a parlare riportando statistiche, cifre, analisi sociologiche. Pietro non ascoltava, pensava a ciò che avrebbe detto, le mani sudate, il battito accelerato, come un adolescente all’esame di maturità.
Non era abituato ai riflettori. Il suo breve intervento, sarebbe scivolato insieme con gli altri in un contesto disattento, ma per lui era un evento emozionante.
Prese poi la parola uno degli autori, un giovane agente che aveva raccolto aneddoti e racconti dei vecchi agenti e citò l’episodio che Pietro avrebbe poi ripercorso, in occasione del quale Luca e lo stesso Pietro ebbero un encomio dal Comando.
Mentre il giovane parlava Pietro seguiva le parole, affondando nel ricordo.
Era una notte di qualche anno prima, una delle notti nelle quali Pietro e Luca preferivano lavorare insieme. Erano di pronto intervento ed erano stati mandati sulle sponde del Reno che a causa delle piogge estive rischiava di rompere gli argini.
Insieme ai volontari della Protezione Civile, ai carabinieri e ad altri colleghi Pietro e Luca stavano perlustrando le sponde del fiume per portare in salvo le famiglie di rumeni che lì dormivano e vivevano.
Pietro ricordava bene il rumore impetuoso del fiume, un frastuono minaccioso, difficile da dimenticare come di una mandria di bufali in corsa, come di una valanga in caduta libera.
Rumore d’acqua, molta acqua, buio, pioggia e nonostante il mese di luglio, un freddo, che entrava nelle ossa insieme all’acqua che scivolava sui corpi, superando le giacche impermeabili, gli stivali, gli scarponi.
Pietro e Luca si muovevano nel buio con le loro torce elettriche e sentivano la tensione intorno, ordini urlati dai marescialli dei carabinieri ai loro uomini, bestemmie che affioravano ad ogni inciampare nel fango e nei sassi.
Odore di pioggia e di sporcizia, poi improvvisamente apparvero i primi improvvisati accampamenti, fatti di baracce di cartone e legna, lenzuola e coperte.
Pietro pensava nella pioggia a com’erano simili quelle baracche a quelle della sua infanzia che insieme agli amici di strada costruiva nel campo del contadino , dove i più grandi andavano a fumare di nascosto.
Quelle baracche sarebbero poi crollate con l’arrivo dei cantieri che avrebbero eretto i grattacieli nella sua periferia.
Pietro e Luca, nel buio, improvvisamente, videro gli uomini, le donne e i bambini che cercavano di proteggersi dalla pioggia ma che non avevano ancora abbandonato il loro accampamento ignari evidentemente del pericolo.
Pietro non amava quella gente, troppe volte li aveva sorpresi a rubare, ad elemosinare, a vagare nella sua Bologna con fagotti e bambini scalzi.
Dal buio, mentre i due agenti aiutavano donne e bambini a mettersi in salvo verso i soccorsi, si sentì un’imprecazione urlata da un uomo rumeno.
Quest’ultimo cominciò a correre verso il fiume, per sfuggire loro.
Pietro rimase indietro ad aiutare un ultima coppia di donne a trovare la strada verso i mezzi dei soccorritori, mentre Luca si lanciava all’inseguimento dell’uomo, che andava stupidamente verso il fiume in piena.
Pietro dopo alcuni secondi si mise sulle tracce del collega e poco oltre, nei pressi dell’argine burrascoso del fiume sentì rumori di lotta.
“Sei un bastardo, noi cerchiamo di salvarvi e tu come ricompensa cerchi di spaccarmi la testa, io ti affogo”. Pietro rimase immobile nel buio a cercare di capire perché il suo collega urlasse tali minacce, intanto l’altro uomo urlava a sua volta e grugniva contro Luca in una colluttazione violenta.
I due uomini coperti di fango erano avvinghiati vicino al ciglio del fiume, Pietro illuminò una scena di lotta.
Durò tutto pochi secondi, l’uomo sporco del sangue di Luca, che gli usciva copioso da un taglio sulla fronte, cadde nel fiume, scomparendo immediatamente alla vista.
Pietro non pensò, si tolse gli stivali di gomma, la giacca impermeabile, per gettarsi in quell’inferno d’acqua.
Luca da dietro gli gridò qualcosa, che lo raggiunse in un angolo del cervello, rimanendogli incastrato nei ricordi.
“Lascia che crepi quella carogna”un urlo, un’invocazione, che gli arrivò e che Pietro rimosse immediatamente per concentrarsi su due priorità, non affogare e salvare un uomo.
Pietro era forte, anche se non più giovane, nuotava bene e aveva fatto un corso di salvataggio nel corso della sua vita, ”perché può sempre tornare utile”, amava dire lui.
Non ricordava come ma la corrente lo portò dove stava andando a morire lo straniero. Pietro riuscì ad afferrarlo per i capelli, lunghi e mentre lo strappava dalle acque, ringraziò il cielo che questo rumeno non avesse tagliato i capelli a zero, come molti suoi connazionali facevano, per eliminare il fastidio dei pidocchi. Luca era lì ad aiutarlo, mentre sputando i polmoni Pietro spingeva nel fango dell’argine il corpo privo di sensi del rumeno.
I soccorsi arrivarono nello stesso tempo, allertati dallo stesso Luca, via radio.
Luca e il rumeno furono portati via da due diverse ambulanze.
Luca aveva una profonda ferita sulla fronte, che richiese molti punti di sutura e venti giorni di prognosi.
Il rumeno si salvò e finì alla “Dozza”, la casa circondariale di Bologna, arrestato per la violenta aggressione che aveva messo in atto nei confronti di un agente ma soprattutto perché era evaso dal carcere di Reggio Emilia la settimana prima.
Non parlarono mai di quell’episodio, i due colleghi, rimase come una parentesi nella loro amicizia. Da allora, però, non fu più come prima e da lì a poco, Pietro chiese di lasciare la strada.
L’ ultimo giorno di servizio esterno Pietro invitò Luca a cena, risero e mangiarono insieme a Lina che li serviva in tavola sorridendo e coccolandoli come una mamma.
Si presero una bella sbronza quella sera , Luca a fine serata divenne sentimentale e cominciò un discorso che li avrebbe riportati su quella riva maledetta.
Pietro lo fermò, con un gesto, e gli versò un bicchiere di sangiovese.
“Luca tu sei e rimani come un fratello per me. I fratelli si aiutano, si perdonano, si salvano. Non mi devi dire nulla, il passato è meglio dimenticarlo, quando non serve.”.
Si abbracciarono , fu l’ultima volta.
Pietro riemerse dai ricordi sentendo chiamare il suo nome, udì l’applauso dei presenti intorno a lui, solo allora comprese che era giunto il suo turno.
Si alzò sorridendo e si avvicinò al microfono.
Raccontò l’episodio del salvataggio, ponendo l’accento sul il coraggio del collega, prematuramente scomparso, esaltando il suo sprezzo del pericolo, la generosità, evitando con attenzione di sfiorare, anche solo con il pensiero quella frase, che Luca gli aveva gridato quella notte.
“Devo ringraziare Luca Bolognesi se sono un uomo migliore, se ho imparato a dominare i miei sentimenti, capendo che il razzismo ci fa essere uomini piccoli, miopi e spaventati. Questo è un mondo che corre in fretta e noi dobbiamo ricordare che il nostro ruolo d’agenti non può mai essere quello di giudicare le persone dalla pelle, ma aiutare chi è in difficoltà anteponendo a tutto la tutela del cittadino.”.
Un applauso sincero lo colpì in pieno viso, mentre si ascoltava recitare un pensiero che non faceva parte della sua morale.
Piangeva Pietro, piano, in silenzio, mentre la sua Fiat scivolava lungo la pianura.
Ci sono uomini che non sanno piangere, hanno pudore di mostrare i propri sentimenti agli altri.
Pietro era uno di quelli e pensava che tutto questo suo dolore, questa malinconia fossero talmente personali, nella loro concretezza da non sapere che farsene.
Non sapeva cosa desiderare.
Forse avrebbe voluto essere con l’amico fra i suoi monti e poterlo salvare come salvò quella notte un uomo senza pensarci.
L’ amicizia, il senso del dovere, l’amore, in quel momento a Pietro sembravano solo concetti astratti, alla fine assolutamente inutili.
Pietro si fermò lungo il navile, volse il suo sguardo verso l’orizzonte, la giornata era perfetta in quell’angolo di campagna, dove era possibile osservare i nidi delle cicogne.
Forse era quella la vecchiaia, pensare che tutto fosse senza senso.
Pietro si riscosse e sorrise ad una cicogna che stava sfamando il suo piccolo, e pensò che la cosa migliore fosse continuare a vivere senza cercare per forza una conclusione felice.
Luca avrebbe continuato a fargli compagnia e lui non lo avrebbe mai dimenticato.
Gli amici, le storie, vivono nelle persone che non si stancano di ricordare.
Pietro salì di nuovo sulla vecchia Fiat e sorrise pensando a Lina che lo stava aspettando nella loro piccola casa sulle sponde di un fiume.
Lei meritava qualcosa di più, era un buon motivo per festeggiare, un buon posto dove tornare e quella sera dopo essersi levigato i ricordi l’ avrebbe portata fuori a cena per festeggiare la loro vita e un amico che magari li aspettava,senza fretta, alla fine di tutti i migliori tramonti.